Puglia, terra di olivi secolari, di vitigni autoctoni pregiati, e soprattutto granaio d’Italia, culla di campi di grano simbolo di fertilità e di abbondanza.
Dalla Capitanata al Salento, passando per la Murgia, è facile imbattersi in scenari naturali emozionanti con le spighe che, accarezzate dal vento, disegnano coreografie come fossero ballerine dai corpi sinuosi e dalle movenze armoniche.
Quando il grano giunge a maturazione, all’incirca a metà giugno, è tempo di mieterlo. Oggi lo si fa con l’aiuto di mietitrebbiatrici ultramoderne eppure fino a 70 anni fa, o poco più, si soleva farlo a mano coinvolgendo intere comunità.
Le giornate iniziavano a notte fonda quando, a bordo di un traino, le famiglie percorrevano lunghe strade sterrate per raggiungere all’alba il podere su cui lavorare. Falci, borracce e vettovaglie al seguito, si partiva carichi di speranze perché un buon raccolto decretava un buon anno, per tutta la famiglia.
Ore e ore di lavoro sotto al sole, all’inizio tiepido e poi sempre più cocente, non erano facili da sostenere, eppure indistintamente donne e uomini portavano a termine le loro operazioni canticchiando allegri motivetti e lasciando che i ragazzini potessero correre liberi a perdifiato fra le distese dorate benedette dal cielo.
Le spighe, falciate a circa venti centimetri dalla radice, venivano posate sul terreno e poi legate in fasci facilmente trasportabili. Gli stessi venivano utilizzati per formare grossi covoni: questa operazione era necessaria per far arieggiare le spighe e per far essiccare ulteriormente la granella.
Tutto si svolgeva manualmente. Non erano attività leggere. Le lavoratrici e i lavoratori dovevano proteggere le dita delle mani, le braccia e le gambe dalle lacerazioni dovute alle stoppie e agli steli recisi.
La mietitura durava solitamente un mese e terminava con una grande festa dalla doppia valenza: ringraziare Madre Terra per il raccolto e propiziare un raccolto più soddisfacente per l’anno venturo.
In verità i lavori non terminavano con la mietitura a cui seguivano la trebbiatura, la pesatura, la spigolatura (svolta principalmente dalle donne) e la bruciatura delle stoppie. Quest’ultima operazione, tipica della nostra regione, serviva a fertilizzare i terreni e permetteva ai contadini di recuperare i chicchi di grano rimasti a terra.
Da questa usanza è nato il cosiddetto Grano Arso, oggi molto utilizzato nella produzione di pane e di altri prodotti da forno dal sapore rustico e piacevolmente affumicato. Una specialità tutta pugliese che oggi sta vivendo una stagione davvero fortunata e che con la sua storia sta contribuendo a mantenere viva l’attenzione sulle nostre straordinarie radici.